I
piccoli affitti non miglioravano di certo l’agricoltura,
dato che i contratti duravano al massimo cinque
anni e quindi per chi affittava
non era
conveniente investire
per migliorare i mezzi e i terreni.
Con
la successiva diffusione della clausola a "fuoco e fiamma"
si dava la responsabilità all’affittuario di eventuali danni
causati da agenti atmosferici, questo testimonia il distaccamento
dei proprietari terrieri dalla
campagna. La maggior parte dei terreni affittati era di
proprietà dei nobili (57%) mentre il resto era di privati
non nobili (33%) e dei vari enti pubblici, religiosi e civili
(10%). Va ricordato che il tipo di contratto era relativo
alla dimensione del terreno: infatti il 74,4% degli affitti
era di terreni che non superavano i cinque ettari di ampiezza,
il 23,3% era di appezzamenti compresi tra 5 e 50 ettari
e infine l’1,1% con più di 100 ettari coltivati. I canoni
d’affitto in denaro variavano molto a seconda della dimensione
del podere, della sua giacitura, dalla fertilità e dalle
diverse figure di concedenti. In più bisognava considerare
la grandezza del terreno rispetto alle dimensioni della
Provincia. L’affitto in generi invece era pressoché omogeneo
per tutte le zone, anche se non era molto diffuso.
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