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All’interno del villaggio, una percezione
armonica del tempo cementava un destino umano comune, l’individuo
si sentiva parte di una comunità e condivideva con la natura
i ritmi. Il suo era un tempo circolare, di eterno ritorno, che era
scandito dal sorgere e dal tramontare del sole, dall’avvicendarsi
delle stagioni, dalle scadenze periodiche di cerimonie religiose,
sagre e fiere.
Il tempo era un succedersi di segni religiosi. Le benedizioni, i
vespri, le processioni, le sagre, le messe erano come tante tessere
di una ritualità composita, ma unitaria nel dare valore al
tutto.
Questo era il calendario contadino mese per mese.
A GENNAIO i contadini avevano molti interrogativi su come sarebbe
andato l’anno e per raccogliere qualche anticipazione ascoltavano
il canto del gallo fuori orario, aspiravano gli odori dell’aria
per sapere se la pioggia era prossima e ricorrevano a molte altre
tradizioni; tra queste il panevin era il nome per indicare
il falò acceso nei paesi per la vigilia dell’epifania. Al
panevin si rifaceva il detto "Se le falìve
va al garbin prepara el caro pa’ ndar al mulìn, se le falìve
le va a matìna tòl su el saco e va a farìna!".
Il fuoco dell’epifania bruciava tutte le feste iniziate a San
Martino. Dopo il panevin bisognava pensare ai lavori
che si dovevano svolgere, magari al caldo in cucina; o all’aperto
seguendo le previsioni dell’almanacco contadino, su cui erano elencati
i lavori che si dovevano fare all’esterno, come concimare gli alberi,
spaccare la legna al momento giusto, coltivare gli orti, ecc.
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